D.F. Jones - Xeno, L'Abominio Che Ci Aspetta.doc

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D.F. JONES

XENO, L'ABOMINIO CHE CI ASPETTA

(Xeno, 1979)

 

Prologo

 

Entrato per ultimo, Julius Pe­chall chiuse il portello e fece gi­rare l'antica ruota. Chiusura sta­gna. Una delle luci cambiò dal rosso al verde. Presto tutto fu immerso nella nube di gas cia­nidrico che invadeva il compar­timento.

Questo era il momento mi­gliore: rilassati, senza più pau­ra, avviluppati da una specie di morte amichevole. Una breve pausa di isolamento, di non-pen­siero...

Ma ecco già la doccia e la corrente d'aria calda per asciu­garsi. Pechall e i suoi compagni ruotarono lentamente su se stes­si, con le braccia sollevate, come marionette in una coreogra­fia grottesca. Poi si fermarono in attesa.

Un'altra luce cambiò dal ros­so al verde. Il portello si aprì. Oltre il portello, il tepore acco­gliente della Biblioteca del Con­gresso...

 

1

 

1984...

Solamente a pensare a quell'anno la maggior parte della gen­te si sentiva accapponare la pelle, eppure la loro apprensione non aveva un fondamento logico. Tutti gli ingredienti degli incubi di Orwell si erano presentati nel 1955, ma Orwell aveva scelto il 1984 e la logica poteva andare all'inferno.

Era dal 1660, quando metà dell'Europa aveva nutrito timori simili per il 1666, che non ser­peggiava una tale inquietudine. Per gli astrologi, consultati sem­pre più raramente dal quarto se­colo a.C. in poi, i primi anni Ottanta del nostro secolo furono un periolo aureo. E allorché qualcuno annunciò l'esistenza di una nuova cometa, e predisse che avrebbe illuminato con i suoi nefasti raggi il cielo prima­verile nell'anno di Orwell, una varietà di disastri naturali si ag­giunse al catalogo delle catastro­fi previste. Naturalmente molti dichiaravano di non credere se­riamente alle previsioni; era un'idea stramba, uno scherzo, tutto li. Forse. Ma intanto continuava ad aumentare il numero di quel­li che si dichiaravano capaci di leggere il futuro. Sembrava che la mente umana non avesse fatto un passo avanti, dal diciassette­simo secolo.

Ma prima venne il 1983, un anno che portò una catastrofe così tremenda, così sconvolgente che, al confronto, tutte le atro­cità fin allora subite dall'uomo sembrarono una cosa da niente.

Molti si rifiutarono ostinata­mente di pensarci fin quando non furono colpiti personalmen­te, sia nei figli sia nella loro stessa vita.

Il 1983 non fu l'anno in cui il mondo progredì, ma quello in cui l'umanità perse l'ultimo barlume d'innocenza.

 

2

 

Anche quando ebbe inizio, non lo si po sapere. La cronologia è virtualmente insignificante, ma non è probabile che una cosa del genere potesse essere acca­duta prima del 1916. È fuori questione che la concentrazione maggiore di Eventi si verificò negli anni Settanta, la maggiore fino a quel momento, almeno. Il primo Evento, debitamente documentato e attestato, si veri­ficò nel 1974.

 

Il 12 aprile, alle 8, ora con­venzionale del Pacifico, un F-4 dell'aviazione statunitense, con a bordo un pilota e un osserva­tore, decollò da una base aerea della California per un volo di prova. Salì fino a 40.000 metri e, dopo svariate prove e collau­di, si arrischiò a salire di altri 7.000 e puntò in direzione dell'oceano a velocità supersonica. Alle 8,25, sul monitor del radar di controllo a terra, scomparve il segnale dell'aereo. Chiamate urgenti, dalle 8,26 alle 8,35, non ottennero risposta. Di conse­guenza, alle 8,37 fu dato il via a una procedura d'emergenza, e alle 8,41 altri due F-4 salirono rombando in cielo, seguiti dopo dieci minuti da un aereo spe­ciale da ricerca.

L'Organizzazione Ricerca e Recupero è imponente, una rete dalle maglie fitte. Non sempre è possibile salvare vite umane, ma è ben difficile che l'Organiz­zazione non ottenga qualche ri­sultato. Questa fu una di quelle rarissime occasioni.

Dopo settantadue ore di sfor­zi intensi, il comando fu costret­to a riferire a malincuore che l'F-4 doveva dichiararsi disperso in mare per cause ignote.

Una delle poche circostanze in cui vige una vera collabora­zione internazionale si verifica nel collegamento delle chiamate di soccorso per navi e aerei in difficoltà. Parole di codice, pro­cedure e frequenze sono uguali in tutto il mondo. Per gli aerei ci sono due collegamenti radio, uno HF e uno VHF, tenuti sotto continuo controllo da stazioni di terra sparse su tutto il globo. Succede molto raramente che non venga captato un segnale d'emergenza trasmesso da un ae­reo in difficoltà.

Alle 14,03, ora locale, del 7 agosto 1974, un addetto radio della base USAF di Guam inter­cettò una chiamata di soccorso sulla banda VHF. Questi trasmi­se le coordinate al posto di co­mando che le collegò con un contatto radar non identificato, rilevato alle 14,01, che aveva preoccupato l'ufficiale di turno al punto da indurlo ad avvertire il Comandante della stazione.

Anche se l'eventualità che si trattasse di un apparecchio con intenzioni ostili era trascurabile, nessun ufficiale responsabile avrebbe mai osato prendere alla leggera una cosa simile... non certo dopo Pearl Harbor. Nel caso in questione c'erano troppe cose che non quadravano: il ra­dar dell'aereo non aveva segna­lato alcun pericolo e il pilota, interrogato dal radarista di ter­ra, diede una risposta rassicu­rante, rivelatasi però sbagliata. Bastò questo perché l'ufficiale di turno alla base facesse scattare, alle 14.01, l'allarme giallo, e al­le 14,05 le sirene ulularono l'al­larme rosso. Un minuto dopo, tre caccia decollarono per inter­cettare l'intruso. Contemporaneamente entrarono in attività le po­stazioni difensive. Nell'eventua­lità che si trattasse di una vera chiamata di soccorso, due mezzi anfibi Grumman HU-6 furono fatti uscire dagli hangar ancora prima che terminassero di ulu­lare le sirene.

La postazione sotterranea di comando agì con la stessa tem­pestività. Il Comandante, colon­nello Marvin L. Buckner, vete­rano della Corea e del Vietnam, arrivò immediatamente. Era sta­to lanciato un segnale conven­zionale allo sconosciuto, che aveva risposto in modo inintelli­gibile. Un secondo collegamento radio ottenne una risposta plau­sibile: si trattava di un aereo in difficoltà. Erano le 14,09.

Buckner, microfono alla ma­no, si collegò con una trasmit­tente sulla frequenza delle chia­mate di soccorso. Nel giro di quindici secondi fu informato di quanto risultava sul radar: l'intruso era lontano cinquanta­cinque chilometri, si dirigeva a sud a duemila metri di quota e a una velocità di circa novecento chilometri orari. Seguendo quel­la rotta non sarebbe mai arrivato alla base. Buckner pensò rapida­mente, senza badare all'ufficiale di turno che parlava piano in un altro microfono per trasmettere i dati della rotta ai piloti dei caccia.

Si trattava di una missione suicida. Forse il pilota era tanto pazzo da presumere che l'Avia­zione sarebbe stata tanto brava da portarlo sul bersaglio... D'al­tra parte, se si trovava veramen­te in difficoltà, avrebbe dovuto dirottare e dirigersi subito sulla base. I caccia non l'avrebbero raggiunto prima di due o tre minuti... che potevano essere troppi.

Buckner chiamò l'intruso per chiedergli che si identificasse, e cominciò così una serie di eventi che non avrebbe mai scordato.

La risposta tardò a venire, e la voce lontana era tremula e incerta; mentre ascoltava, Buck­ner ebbe il tempo di leggere un telex che gli avevano messo da­vanti.

 

Nessuna ripetiamo nessuna missione USAF A/B attual­mente nel raggio di 1000 chi­lometri dalla vostra posizione.

 

«Qui... qui la Missione AF 2419... uh, no... Correggo Mis­sione 2194. Cosa succede? Il sole è tutto sbagliato. Tutto è sbagliato.» La voce salì a toni isterici. «Sono perduto! Per l'amor del cielo, aiutatemi!»

«Controlla quel numero» disse precipitosamente Buckner a un suo aiutante, ma il sergente maggiore che gli stava al fianco stava già trasmettendo sulla ta­stiera del telex intercomando. «Calma, giovanotto» disse brusco il Comandante al pilota dell'aereo misterioso. «Esponi la tua situazione, comunica il tipo del tuo apparecchio e di quanto carburante disponi. Pas­so.»

Cosa diavolo voleva dire che il sole era sbagliato? Il fonda­mento della disciplina militare non consiste solo nello sbattere i tacchi e nei saluti, serve anche a dare a un soldato la forza in­teriore che gli consenta di obbe­dire quando tutto il suo essere e l'istinto gli dicono di darsela a gambe. Non è grave se un sol­dato se la fa sotto finché obbe­disce, e questo vale per tutti i militari, di qualunque regime politico.

La ferrea disciplina dell'USAF ebbe il sopravvento sulla mente sconvolta del pilota: era con­vinto che il mondo fosse sotto­sopra, ma la voce fredda e com­passata in cuffia ebbe la meglio sulla confusione.

«Sto pilotando un F-4, si­gnore.... carburante: ne resta il sessanta per cento... Il guaio è...» s'interruppe. «il sole è impazzito... Il mio giroscopio è impazzito.»

Al comando tutti si irrigidiro­no, fissando sbalorditi il colon­nello Buckner. Non meno sba­lordito degli altri il colonnello fissò senza vederlo lo schermo radar per qualche secondo, poi premette lentamente il pulsante di trasmissione.

«Ripeti il tipo dell'aereo. Passo.»

Si sentì un singhiozzo soffo­cato. Silenzio. Poi il pilota, con voce stridula, sull'orlo dell'iste­ria, disse: «È un F-4... Cristo! Foxtrot, numero quattro! Un, due, tre, quattro! Mi sentite?»

Buckner aveva la mente in subbuglio. Nella sua lunga car­riera gli era capitato di trovarsi in situazioni imbrogliate, mai come questa però. Senza rifor­nimento in volo, un F-4 non poteva trovarsi così lontano da terra, e di certo nessuna cister­na USAF era in volo.

«Per amor di Dio datemi la posizione» disse la voce ango­sciata.

«Aspetta! Passo.» Un'al­tra voce, calma e impassibile, aveta parlato sulla frequenza dei caccia.

«Qui Bantam Uno. Bersa­glio avvistato. Ci avviciniamo.»

Buckner attivò i microfoni. «Roger, Bantam Uno. Ed, qui Marvin. State attenti. Tenetevi fuori portata, ma avvicinatevi fi­no a identificare il bersaglio. Attenzione, ripeto. Si teme che il pilota sia impazzito.» E do­po aver girato altri interruttori: «Missione 2194. Calma, non lasciatevi prendere dal panico. Vi seguiamo e avete carburante a sufficienza. Entro due minuti arriveranno i soccorsi. Mantene­te l'attuale direzione, quota e velocità.»

«Felice di saperlo, signore!» La voce del pilota in difficol­tà denotava un evidente sollievo. «Non riesco a immaginare...» s'interruppe. «Ehi, vedo una nave.» La voce tornò a farsi pericolosamente stridula. «Grandio, che vista meravi­gliosa!»

Il colonnello lo interruppe bruscamente: «Missione ven­tuno novantaquattro! Mantenere la disciplina di circuito...» Il sergente, pallidissimo, gli mise sotto il naso un'altra velina.

 

Urgentissimo. Nessuna mis­sione 2194 in corso in que­...

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